Le mille e una morte, di Jack London

Nel racconto che presta il titolo all’intera raccolta, un uomo viene ripetutamente ucciso dal padre, il quale – novello Abramo che insegue il rigore della scoperta scientifica invece di un guizzo del divino – sottopone suo figlio a una lunga serie di morti, inflitte nelle maniere più disparate, al fine di dimostrare la possibilità per un corpo di sopravvivere al decesso. Sul finale, il figlio fa letteralmente evaporare nell’aria il padre, riducendolo a una sorta di prodotto della psiche. Qual è lo spazio che intercorre, in questo racconto dal sapore parascientifico, tra il London narratore e il London uomo – ossessionato dal suo status di figlio illegittimo e tormentato dall’incertezza riguardo la reale identità del padre?

Ne Le mille e una morte – raccolta di sette racconti che dalla baia di San Francisco attraversa lo sconfinato Klondike, fino a giungere in una Polinesia primitiva e sanguinaria – il filo rosso è proprio quella della morte, davanti alla quale personaggi di London chinano il capo, con rispetto e tranquilla accettazione. Presagi fatali incombono sulle pagine e su tutto aleggia il fantasma di una violenza che è brutale e animalesca: i protagonisti dei racconti sembrano percepirlo, consapevoli di vivere “già nell’ombra della morte”. Un fatalismo che si fa bruciante della ricerca di una Rivelazione in grado di spiegare il meccanismo del tutto, come per il protagonista de Il dio rosso, racconto allucinato che sconfina nel territorio del mostruoso. I personaggi londoniani sono uomini di scienza, rigorosi e materialisti – affini al realismo dello scrittore, cresciuto da una madre spiritista e per questo incredulo nei confronti dell’esistenza di un mondo altro.

La vera alterità, a volerla cercare, è già parte di noi. Nei racconti di questa raccolta, si rincorrono tematiche quali quella del Doppio, dell’Altro, il ritorno all’Uno: una costante presenza dell’inconscio che sembra farsi beffe dell’ostinato raziocinio al quale si aggrappano testardamente personaggi come l’anonimo protagonista di Allestire un fuoco.

Ho apprezzato molto questi racconti vividi, esotici e violenti, nei quali la natura si fa ardente e spietata protagonista, madre sanguinaria che risveglia gli istinti più brutali dei suoi figli, divinità primitiva che prende il sopravvento sulla logica e la razionalità. Le atmosfere cupe e allusive e la scrittura tagliente e diretta di London vengono rese magnificamente grazie all’ottima traduzione.

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