L’invenzione della solitudine, di Paul Auster

Alla morte del padre Sam, figura enigmatica e assente nella vita famigliare, il figlio Paul – scrittore e io narrante di questo breve e introspettivo romanzo – ne ricostruisce l’esistenza tramite una lunga serie di immagini trafugate al tempo, per esorcizzare il dolore della perdita con l’atto creativo e suggellare quell’immortalità che solo la penna sa donare.

Nel rispondere al doloroso imperativo della scrittura, Auster concepisce un racconto dalla duplice natura, speculare al suo essere figlio e padre allo stesso tempo: la prima sezione, Ritratto di un uomo invisibile, è un’intima storia famigliare e il commovente ritratto di un padre assente, refrattario a ogni forma di rapporto, delle cui rare dimostrazioni di affetto Paul sentirà la mancanza per tutta l’infanzia. Nella seconda parte, Il libro della memoria, lo stile si fa volutamente più frammentario e confuso, un flusso di coscienza riversato con urgenza su carta: l’autore racchiude in una serie di brevissime istantanee il significato di farsi padre del figlio Daniel, ma anche di sé stesso e delle sue opere letterarie.

Il demone della solitudine, condizione indispensabile alla scrittura, occupa lo spazio reale e metaforico della stanza: simbolo caro a molti tra scrittori e poeti, luogo per eccellenza in cui isolarsi dal resto del mondo per dedicarsi al proprio travaglio letterario. Sofferto, ma indispensabile. Come Shahrazàd, che notte dopo notte continua il suo racconto per avere salva la vita, Auster sa di dover scrivere e scrivere e scrivere per mantenere in vita il ricordo. Per individuare quella viscerale connessione tra significati, parole, luoghi e persone, la musica del caso che permea la vita di ogni essere umano, legandolo in un’intima catena che si estende ad abbracciare l’umanità intera.

L’invenzione della solitudine è un racconto delicato e commosso, in cui Auster riesce a immergersi profondamente dentro di sé e parlare al contempo di e per ognuno di noi, in quanto padri e in quanto figli, raccontando la dolorosa bellezza che sta nel diventare.

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